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Foggia - C’è una mafia che nessuno racconta. È nascosta nella Puglia del Nord. Tra la Daunia, la Capitanata e il Gargano. È una mafia efferata e pastorale: sparge sangue, uccide con il fuoco e con le mani. Attacca gli innocenti, sparge violenza ingiusta per segnare il territorio e spiegare chi comanda. Di questa mafia parla il libro “Il ragazzo nel pozzo”, scritto a quattro mani da Michela Magnifico e Gianmatteo Pepe, in uscita in questi giorni in libreria per edizioni la meridiana.
Il “ragazzo nel pozzo” è Antonio Perrucci Ciannamea, 16 anni, protagonista del primo racconto del libro. Antonio fu ammazzato senza ragione, nel cuore della sua adolescenza, nella zona di Cerignola. Né lui né la sua famiglia avevano alcun legame con le mafie locali. Fu maltrattato e incaprettato, prima di finire in un pozzo, per le logiche perverse e macabre di una mafia che, negli anni Novanta, mostrava continuamente nel foggiano la sua efferatezza.
A questa e altre storie è dedicato il libro, che ricostruisce anche le fila delle azioni investigative del tempo che, guidate da Agostino De Paolis e supportate da Procura e forze dell’ordine, ricostruirono e strapparono la teladel crimine. Una tela sempre pronta a ricostruirsi, un crimine che si nasconde ma insidia il futuro di legalità e sviluppo del territorio.
Per comprendere meglio i fatti del passato e contrastare il possibile ritorno dei fenomeni mafiosi, la casa editrice ha organizzato una giornata-evento, sabato 30 marzo, al Teatro Giordano di Foggia, in collaborazione anche con Coop Alleanza 3.0, il CSV di Foggia e con il Patrocinio del Comune e del Provveditorato agli Studi. Oltre a presentare il libro con gli autori, andrà in scena una pieceteatrale, la cui drammaturgia è legata al libro stesso, curata dagli artisti di Officina Teatrale.La giornata inizierà alle 10.30, con una manifestazione dedicata a una delegazione di studenti delle scuole del territorio. Presentazione e spettacolo teatrale saranno replicati alle ore 18, con ingresso gratuito e aperto alla cittadinanza. Saranno presenti: Ludovico Vaccaro, procuratore di Foggia; Agostino De Paolis, già capo della squadra mobile di Foggia; Maria Ida Episcopo, provveditore agli studi di Foggia; Anna Paola Giuliani, assessore alla cultura del Comune di Foggia; Marco Sasso e Antonio Albanese, Coop Alleanza 3.0 territorio di Foggia, Daniela Marcone, vice presidente nazionale di Libera contro le Mafie e Federica Bianchi, Libera Foggia.
“Vogliamo rinnovare un patto: con le scuole e con i giovani, con la politica e le istituzioni, con le forze dell’ordine e con la comunità diffusa. Un patto per rigenerare un impegno civile nelle terre dove i boss vecchi e nuovi ritornano o non hanno mai smesso di tenere sotto scacco le comunità”, afferma Elvira Zaccagnino, presidente di edizioni la meridiana.
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Il Ministro dell’Interno ha annunciato l'avvio dell’iter perché Rumi abbia la cittadinanza dichiarando: ‘è come mio figlio, avrà la cittadinanza’.
Un risultato che il collega vicepremier rivendica come vittoria personale: ‘l’ho convinto’.
Sulla pelle di Rumi la politica ha giocato, facendo passare i diritti per concessioni.
Non è un Paese democratico e civile quello in cui questo accade. Quando i diritti non diventano leggi, ma regali.
…è come figlio mio…
Un paternalismo di Stato che legittima figli e figliastri.
Attenti ragazzi: non è mai un buon padre uno che ragiona e agisce usando il possessivo accanto alla parola figlio. -
Da sfiga a sfida: la diversità come la normalità sta anche nelle parole che le diamo.
E, come ha ben detto Pino Modugno ieri al secondo appuntamento di Artigiani dell'imprudenza, usando le stesse parole di Claudio Imprudente: "la disabilità ha una funzione umanizzante: ci mostra al contempo la fragilità e la creatività dell'umano e ci fa riflettere sul modo in cui facciamo società".
La scoperta di Claudio Impruente ci ha messi di fronte alla consapevolezza che siamo solo agli inizi di un percorso nel quale tutti dobbiamo abilitarci.
Questione di contatto. E di sguardo.
Quello a cui la tavoletta trasparente permette, e costringe, chi ha di fronte Claudio di avere sempre. Di non perdere mai. Non nascondendo ciò che lui è e ciò che può. Perché diverso. Perché persona. Come tutti.
E il fatto che ieri sera eravamo in tanti, più del primo incontro, ci dice solo che occasioni come queste vanno coltivate. Fatte crescere. -
Venezia – Profugo, clandestino, immigrato. Arrivò così in Italia, nel 2007, aggrappato al vano motore di un camion, lo scrittore afghano Gholam Najafi. Era un minore non accompagnato, che scappava da una guerra disperata. Oggi è un cittadino italiano, ha 27 anni, vive a Venezia, si è laureato e scrive libri.
Il suo secondo lavoro esce, in questi giorni, per edizioni la meridiana e si chiama “Il tappeto afghano”. Sedici racconti dedicati alle donne del suo Paese di origine, che scavano nella memoria dei suoi ricordi e restituiscono colori, sapori, emozioni, vita quotidiana di una terra che siamo abituati a conoscere per la sua guerra senza fine e che invece sa essere luogo magico di tradizioni, incontri, sentieri e montagne. È anche la terra della difficile condizione della donna, che Gholam descrive per immagini, nel dettaglio, restituendone gli aspetti dolenti e controversi.
Fotografie di un Afghanistan sempre più dimenticato dalla cronaca dei giornali e dalla politica, ma indimenticabile per l’autore, che prova con la sua penna a costruire ponti di dialogo e a svelarei segreti di una cultura lontana.
“Ricordo che prima di giungere in Europa immaginavo la mia vita in una comunità esclusivamente afghana. Non credevo che avrei imparato un'altra lingua e che mi sarei inserito in un altro contesto sociale. D'altro canto, immaginavo che avrei avuto i documenti senza troppe difficoltà, dato che in Afghanistan la burocrazia non era considerata una cosa essenziale”, racconta Gholam Najafi. “Nonostante in Afghanistan la guerra continua, incomprensibilmente, e continua l’odio, la paura, la diffidenza tra le varie etnie – tutte cose che mi hanno spinto a partire giovanissimo - ho sempre avuto con la mia terra un rapporto struggente. Ricordo in particolare la quotidianità del mio villaggio, fatta dalla scansione stagionale del tempo, di amicizie, di contatto con la natura e infine di ritualità: le morti, gli arrivi, i matrimoni, la preghiera e il pellegrinaggio primaverile sul monte. Con questo libro provo a riportare in vita questi ricordi e ricordare che nessuno sceglie di emigrare da casa propria senza ragione”.