Venezia – Profugo, clandestino, immigrato. Arrivò così in Italia, nel 2007, aggrappato al vano motore di un camion, lo scrittore afghano Gholam Najafi. Era un minore non accompagnato, che scappava da una guerra disperata. Oggi è un cittadino italiano, ha 27 anni, vive a Venezia, si è laureato e scrive libri.

Il suo secondo lavoro esce, in questi giorni, per edizioni la meridiana e si chiama “Il tappeto afghano”. Sedici racconti dedicati alle donne del suo Paese di origine, che scavano nella memoria dei suoi ricordi e restituiscono colori, sapori, emozioni, vita quotidiana di una terra che siamo abituati a conoscere per la sua guerra senza fine e che invece sa essere luogo magico di tradizioni, incontri, sentieri e montagne. È anche la terra della difficile condizione della donna, che Gholam descrive per immagini, nel dettaglio, restituendone gli aspetti dolenti e controversi.

Fotografie di un Afghanistan sempre più dimenticato dalla cronaca dei giornali e dalla politica, ma indimenticabile per l’autore, che prova con la sua penna a costruire ponti di dialogo e a svelarei segreti di una cultura lontana.

“Ricordo che prima di giungere in Europa immaginavo la mia vita in una comunità esclusivamente afghana. Non credevo che avrei imparato un'altra lingua e che mi sarei inserito in un altro contesto sociale. D'altro canto, immaginavo che avrei avuto i documenti senza troppe difficoltà, dato che in Afghanistan la burocrazia non era considerata una cosa essenziale”, racconta Gholam Najafi. “Nonostante in Afghanistan la guerra continua, incomprensibilmente, e continua l’odio, la paura, la diffidenza tra le varie etnie – tutte cose che mi hanno spinto a partire giovanissimo - ho sempre avuto con la mia terra un rapporto struggente. Ricordo in particolare la quotidianità del mio villaggio, fatta dalla scansione stagionale del tempo, di amicizie, di contatto con la natura e infine di ritualità: le morti, gli arrivi, i matrimoni, la preghiera e il pellegrinaggio primaverile sul monte. Con questo libro provo a riportare in vita questi ricordi e ricordare che nessuno sceglie di emigrare da casa propria senza ragione”.